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Anche nel Regno d'Italia, ancora molto arretrato, nacque una questione sociale.
Nel sud, prevalentemente agricolo, si sviluppò il fenomeno del brigantaggio, bande di contadini che compivano razzie e vennero sconfitte solo con l'intervento dell'esercito.
A nord si sviluppò l'industria grazie allo Stato che finanziò le industrie, commissionando loro la costruzione di macchinari, ferrovie e armi.
Si moltiplicavano intanto i braccianti e gli operai (cioè i lavoratori salariati), molti dei quali aderirono dapprima alle idee anarchiche, poi a quelle socialiste. Nacquero i primi sindacati e il Partito socialista, che organizzarono scioperi e disordini, alcuni repressi con l'esercito.
Chi non riuscì a migliorare la propria condizione pensò a emigrare: alla fine dell'Ottocento circa due milioni di italiani emigrarono in Argentina e negli Stati Uniti.
Con il Novecento migliorò il rapporto tra Stato e lavoratori, grazie al primo ministro Giolitti che attuò molte riforme sociali e stabilì che lo Stato rimanesse neutrale nello scontro tra lavoratori e industriali.
Al nord, nel cosiddetto “triangolo industriale” (Milano – Torino - Genova) migliorarono notevolmente l'industria e la vita degli operai, mentre dal Sud emigrarono altri milioni di italiani. Nel 1914 quasi il 18% degli italiani risiedeva all'estero!
Dopo la prima guerra mondiale anche i proprietari agrari e gli industriali si organizzarono per difendere i loro interessi. Dopo due anni di grandi scioperi (“biennio rosso”), venne riportato l'ordine anche grazie ai militanti del Partito Nazionale Fascista, guidato da Benito Mussolini. Inizialmente animato da idee nazionaliste e socialiste, divenne ben presto il difensore della proprietà privata e della borghesia contro le idee socialiste.
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